FRANCO CALLEGARO
Opera 1^ classificata
Il bambino soldato
Sei orgoglioso di fare l’adulto
e, con quell’arma, ti senti sicuro,
ti hanno detto: “Se impari a sparare,
diventi un uomo più vero e più duro.”
Non li badare, bambino soldato,
sanno parlare soltanto di guerra,
non verseranno una goccia di pianto,
quando darai il tuo sangue alla terra.
Prenditi i giorni che il tempo ti lascia,
torna a giocare nel gioco innocente,
cerca due occhi stregati d’amore
ed un sorriso, da chi non vuol niente!
L’arma che impugni, con tanto fervore,
non servirà a cambiare la sorte,
tu sei la vita e la nostra speranza,
loro hanno in cuore soltanto la morte!
LUCA PREVIATO
Opera 2^ classificata
Chissà tra Mille Anni,
chi porterà addosso i nostri nomi.
E chi, questi pensieri
e questi sogni.
Se il cielo sarà cielo
e un prato il suo specchio.
Non so se ancora
qualche carta dirà
che ci siam stati, esistiti, amati!
Ma so,
che la più piccola traccia di me,
starà ancora
cercando te!
ANNA MARIA CARDILLO
Opera 3^ classificata
No, non chiamarle lacrime
Scendono lente giù dagli occhi,
ma non chiamarle lacrime…
sono vesti di seta del dolore,
quello che hai dentro
e che non sai cos‘è,
né dargli un nome,
quello che solo si fa pianto
quando scrivi
ed a te stesso ti fermi
a chiedere il perché
dell’essere e del fare,
il come e il quando
di cicatrici e rughe
che segnano il tuo tempo,
del rotolare di giorni sempre uguali,
del ritornare di ricordi andati.
Suoni perduti,
pentagrammi vuoti,
melodie di amori non amati:
tutto porta la notte
quando un foglio bianco
solo ti fa da specchio
perché tu possa
far di parole un ghirigoro
e di perle salate una collana
che donino col sonno
la dolce nostalgia,
che restino domani
a parlare di te.
Perle di pianto cadute:
non saprei perché...
no, non chiamarle lacrime…
chiamale… “poesia”.
ROSA MARIA CORTI
Opera 4^ classificata
Là dove mormorano i pioppi *
Là dove mormorano i pioppi
e si disseta il salice,
là dove tornano l’airone
e la garzetta a frenetico corteggio,
là mi appaiono le mondariso
e l’acquaiolo, timido monello,
i piedi in altalena sul ruscello.
Tace la risaia fra le dorate spighe
e l’acqua verde che s’oscura:
non clangore d’armi, non canti,
non risa, non litanie di santi.
Tutto sembra passato
senza traccia lasciare,
solo odo lontano
della trebbiatrice il cigolare.
*da: “Appunti di viaggio”
Ferrera Erbognone giugno 2005
UGO DE SANTIS
Opera 5^ classificata
A mio padre
Non vedo più la tua ombra vicina
la nebbia del tempo, mi nasconde il tuo viso
cercarlo nei brevi ricordi, trascorsi veloci
nascosti da giovani gesti, che sembrano adulti.
Ti cerco nel volto di ignote figure
immaginandoti al fianco di coloro che vedo,
penso ad imprese affrontate dal mondo
che osserva gli errori senza correggerli.
Ti cerco nei gesti di un vecchio signore
memoria antica di uno sbiadito blasone,
mi manca, ad ammetterlo è dura
una mano che fermi ogni tanto il mio braccio.
Ti cerco e non so più dove farlo
per farti vedere come son diventato
il mio mondo, la mia vita,
gli affetti e i tuoi insegnamenti.
Quante volte ho giustificato i miei errori
solo perché non riuscito a trovarti
ora che finalmente sei dentro di me
non riesco a smettere di cercarti.
GENNARO MATINO
Opera 6^ classificata
Allora
Allora, che facciamo della vita,
la buttiamo, la viviamo?
Dici che respiri.
E basta per essere vivi?
Aprire gli occhi,
muover braccia e gambe,
un po’ di fiato dalla bocca,
questo è vita?
E l’amore, la passione, la poesia,
la gioia, il dolore?
Forse imprevisti,
intoppi,
contrattempi?
Allora forse pensi
che unica ragione
sia evitar la morte,
la finale.
Pensi bene.
Ma si può viver da morti.
Allora c‘è qualcosa d’altro
da cercare,
desiderare altro desiderio.
Sopravvivere non è l’ideale,
è giorno che ti è tolto
ogni giorno,
non credi?
Sognare, combattere, sperare,
rischiare, anche perdere,
é lotta, ma verità da guadagnare.
Allora puoi decidere di vivere
altezza, larghezza, profondità
di vita.
Non coprirti il viso,
non dire non mi interessa.
Signore, vorrei morir da vivo
e far morir la morte.
ANNA CERISOLA
Opera 7^ classificata
Sul filo della vita
Ai piedi di un fosso
scavava un contadino
scolpiva i suoi giorni nella terra,
il cielo era vicino
arsa la ruga in volto
pregava col sudore.
Cantava tirando a terra il gozzo
il pescatore:
come viticci i piedi nudi
lottava col vento e il mare,
issando le reti a bordo
pregava col maestrale.
Scavava i nostri cuori
il tempo
nell’ombra della sera,
sul filo della vita
aspettando un’altra primavera.
Ai piedi di una croce
puliva i suoi peccati
l’uomo
arse le lacrime in volto
nel chiedere perdono;
issando la sua vita a bordo
navigava l’ultimo mare,
andava verso il cielo
lasciandosi cullare;
così in un sol istante
il cuore come l’onda
capì ch’era finito il tempo
in quell’immensità profonda
di tuffarsi nella gioia infinita
che invano aveva cercato
sul filo della vita.
MARIA ROSARIA CAU
Opera 8^ classificata
Perdonami
Perdonami
se prima di nascere
ti ho raccontato tante favole
sia, ero così felice!
Mi sentivo in piena estate
con te
che vivevi nel mio ventre.
Passeggiando pei viali alberati
fra il pigolar
dei passeri implumi
ti mostravo
un fantomatico castello
immerso in giardini opulenti.
Ti sentivo batter le manine
ora aperte, ora chiuse,
volteggiar
simili a farfalle fra le rose.
E nel mio ventre ondulante
ti nominavo Reggente
dei miei averi, dei miei pensieri.
Respiravamo uniti pelle a pelle,
il sapore dell’estate e delle viole.
Figlio, perdonami
quando scoprirai
una casa angusta
ed un camino spento.
Perdonami
se ti scalderò
ninnandoti sul petto.
Perdonami
se per Infinita Tenerezza
ti ho presentato
un mondo di favole.
Ed ora, mentre urli il tuo primo vagito
non ti ho dato un castello
Figlio mio, ti ho dato la Vita.
ERMANO RASO
Opera 9^ classificata
Ma Dio, dov‘è?
Non favellan di vita
le pareti di questa struttura
a dimora de gl’infermi,
e la primavera che valica le finestre dischiuse
non reca conforto alcuno:
questo è un pianeta senza orizzonte.
Vi scorgo volti reclini e vinti,
occhi spenti come lanterne consumate,
corpi mortificati da artigli spietati
di mali tremendi,
la vita che fugge
quale preda inseguita…
E anche il rintocco del pendolo a muro
che osserva avulso
pare dire di tempi scaduti.
Ma Dio… dov‘è?
LENA MALTEMPI
Opera 10^ classificata
Le mie albe
Albe su albe,
dipinte di rosa
ne va fiero il giorno
d’impeccabile divisa.
Albe nuove, scese
nel mio limbo
per riportarmi alla luce.
Non cerco sveglia che
suoni, né telefono rimesso.
Aspetto, il cigolare di un
carretto e lo spazzino dalla
giacca sbilenca che all’alba
impiastrava novità sui muri.
Lo sparo di un fucile
giù nella valle,
dove all’alba una lepre
aveva perso la corsa
e la lattaia, sonnambula, dai
bidoni lustrati e misurini a
campanacci,
portone a portone divideva la vita.
Le mie albe rivoglio,
dove novelle giovenche
pettinavano la terra
ed io, con la punta
della falce,
disegnavo i miei domani.